Il concetto di libertà, lo spazio-tempo e la teoria del multiverso. Sono questi i temi dello spettacolo in prima nazionale “Stelle. I sogni di un rivoluzionario” in scena venerdì 6 dicembre alle ore 21 sul palco del Teatro Nuovo di Pisa, Piazza della Stazione 16. Con la regia di Annick Emdin e Carlo Scorrano e con Francesco Salvadore e Francesco Pelosini, si tratta di una produzione del Teatro Nuovo – Binario Vivo che si ispira ad una figura storica realmente esistita, il rivoluzionario francese Louis-Auguste Blanqui (Nizza, 1805 – Parigi 1881), personaggio di spicco nei moti di metà Ottocento. Durante una di queste insurrezioni Blanqui viene arrestato e recluso in una cella dove non può avvicinarsi alla piccola finestra perché le guardie hanno l’ordine di sparargli se lo trovano a guardare il cielo. 

Ma Louis-Auguste non ha bisogno di quella finestra. Il cielo stellato ce l’ha dentro di sé. Chiuso in carcere per anni, Louis elabora una teoria riguardante le stelle: è dalle stelle che viene l’eternità. L’eternità di ogni singolo attimo, di ogni sé mai stato e che mai sarà, di tutte le possibilità che sono esistite ed esisteranno anticipando di oltre un secolo la teoria del multiverso.

“Blanqui era un rivoluzionario, un uomo d’azione – spiega Annick Emdin – animato da principi di uguaglianza e libertà. Al tempo stesso era un filosofo, un sognatore, un matematico, un astronomo, che ha teorizzato per la prima volta i mondi paralleli nel suo trattato dal titolo “L’eternità viene dagli astri”. In questa sua ricerca la particolarità è che Blanqui espone quella che oggi definiamo la teoria del multiverso, l’idea dove per ogni scelta che facciamo si crea un universo fuori dal nostro spaziotempo, in altre parole una dimensione parallela.

In trentasette anni di carcere – prosegue l’autrice – non si è mai lasciato vincere dalla disperazione, ed ha sempre perseguito le sue convinzioni, nella certezza che le idee vadano oltre le battaglie, le mura di una cella, e come stelle possano guidare gli uomini oltre la morte ed oltre i confini dell’Universo. Per raccontare una figura così limpida ma complessa abbiamo creato sul palco una scenografia minimalista, che vuole evocare il vuoto della prigione, dove si muovono due attori in abiti ottocenteschi. Tuttavia, nello stesso tempo grazie a proiezioni, musiche ed altri elementi di scenografia, abbiamo voluto riempire questo spazio vuoto con l’Universo contenuto nell’animo umano”, conclude Annick Emdin.

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